Come è noto, lo scorso 6 febbraio, nelle terre in cui viviamo, si è verificato un forte terremoto che ha colpito undici città. Non solo le città all’interno dei confini dello Stato turco, ma anche molte regioni della Siria sono state colpite, in particolare Aleppo, Mare’, Idlib e Jindires.
Nel primo terremoto e nelle scosse successive, abbiamo potuto constatare che è stato lo Stato, e non il terremoto, a trascinare la gente nella disperazione e a uccidere.
Dopo la prima scossa, i collegamenti tra le città in cui si è verificato il sisma e le altre città si sono interrotti. Milioni di persone cercavano di raggiungere i loro parenti senza avere una reale conoscenza del grado di distruzione nelle città e di ciò che stava accadendo, mentre i terremotati cercavano i loro parenti sotto le macerie, per ore, al freddo, senza avere alcuna informazione dell’esterno, e centinaia di migliaia di persone aspettavano di essere raggiunte sotto le macerie.
Alla notizia del terremoto, molti sindacati, partiti, organizzazioni hanno raccolto fondi per la solidarietà e molti volontari, lavoratori edili, minatori hanno iniziato a recarsi nella regione. Nel frattempo, la domanda “Dov’è lo Stato?” ha trovato una risposta nel giro di ventiquattr’ore: lo Stato stava bombardando la regione di Tel Rif’at nel Rojava, zona anch’essa colpita dal terremoto.
Lo Stato evidentemente doveva imporre la propria presenza anche nelle ore immediatamente successive a un terremoto. Mentre la gente aspettava sotto le macerie per giorni, non c’era traccia dello Stato, delle sue istituzioni come l’AFAD (Presidenza per la gestione dei disastri e delle emergenze) e della Mezzaluna Rossa turca nella regione. Contro i funzionari statali che sono apparsi in televisione per sottolineare la presenza dello Stato è in ogni parte della regione colpita dal terremoto, la gente ha affermato che i soccorsi non sono arrivati e si è attivata per chiedere aiuto attraverso i social media. La risposta dello Stato è stata quella di cercare di nascondere i fatti bloccando Twitter, che in quel momento rappresentava un’importante fonte di comunicazione per le persone e, subito dopo, dichiarando lo stato di emergenza nelle dieci province colpite dal terremoto. Lo Stato ha preparato in questo modo il terreno per i suoi attacchi contro la solidarietà.
Mentre si cercava di costruire solidarietà dal basso in un caos così grande, i settori fascisti dello Stato hanno iniziato ad attaccare gli immigrati e a cercare di distogliere l’attenzione dalle gravi responsabilità istituzionali di questo disastro. Mentre le ferite inflitte al popolo aspettavano di essere curate, sono iniziati veri e propri attacchi contro altri popoli che avevano già delle ferite. Mentre i gruppi fascisti attaccavano gli immigrati nelle zone terremotate, le forze dell’ordine dello Stato uccidevano molte persone e torturavano gli immigrati accusandoli di essere saccheggiatori.
Fin dal primo giorno, la popolazione ha cercato di farsi carico della grave situazione mettendo in atto la propria solidarietà. I minatori si sono concretamente adoperati per salvare le persone dalle macerie a costo della loro vita; tutto questo mentre l’AFAD, organismo istituzionale per la gestione di disastri, utilizzava l’esposizione delle persone che i minatori hanno salvato ed estratto dalle macerie, per servirle sui propri media esibendole come proprio merito.
La gente, nonostante che prima del terremoto fosse alle prese con le difficoltà della crisi economica, si è tuttavia subito mobilitata per inviare rifornimenti alle zone terremotate, dando fondo agli ultimi soldi che aveva in tasca. Giorni dopo, lo spettacolo delle donazioni dei padroni è stato mostrato dai canali dei media statali. I padroni si sono messi in mostra con le ricchezze rubate alla gente, frutto dello sfruttamento, mentre lo Stato, con i suoi organi di informazione, sosteneva questo spettacolo.
Mentre la gente cercava di far sentire la propria voce, gli organi di informazione dello Stato, in ogni occasione, hanno bloccato questa voce, che chiedeva responsabilità. Mentre la gente per strada al freddo aveva bisogno di tende, la Mezzaluna Rossa turca, alla ricerca del profitto, vendeva tende a chi ne aveva bisogno e allo stesso tempo raccoglieva denaro dalla gente per gli aiuti. Mentre c’erano ancora persone vive sotto le macerie, sono entrati nei rottami con le ruspe e hanno ucciso i vivi, non permettendoci nemmeno di raggiungere i nostri morti. Lo Stato ha confiscato alcuni dei camion della solidarietà che dovevano essere inviati per aiutare i sopravvissuti a non morire di fame e di freddo; alcuni camion di solidarietà sono stati fatti transitare, ma vi sono stati affissi manifesti di propaganda statale.
In mezzo a tutto questo disastro e cattiva organizzazione, la preoccupazione della gente è stata quella di sostenere la vita, di mantenere la memoria delle persone uccise e lasciate morire dallo Stato, che continueranno a vivere tramite la solidarietà. Dopo il disastro, in molte regioni sono stati istituiti coordinamenti di solidarietà per condividere il dolore provato dalle persone, con l’obiettivo di andare oltre la semplice solidarietà fisica. Lo Stato, che ha fatto sentire la sua presenza fin dall’inizio del terremoto con i suoi attacchi contro il popolo, i rivoluzionari, gli immigrati e gli oppressi, è emerso ancora una volta nominando dei kayyum (fiduciari) nelle zone di solidarietà e cercando di evacuarle, a distanza di appena un mese dal disastro, con la forza dei soldati.
Sappiamo che il terremoto è un evento sismico, ma non è questo evento sismico che ha ucciso centinaia di migliaia di persone. È il sistema che uccide le persone, che approva la costruzione di quegli edifici malsani e non sicuri, che impedisce la solidarietà popolare e l’aiuto alla gente che si trova in gravissima difficoltà.
Il terremoto ha fatto emergere alcuni innegabili fatti:
Lo Stato non è un’organizzazione che esiste per soddisfare i bisogni del popolo e organizzare la vita, a differenza di quanto costantemente sostiene con la propria propaganda. Tutte le sue istituzioni e organizzazioni sono finalizzate a sfruttare gli oppressi e nutrirsi del loro lavoro, della loro esistenza e della loro vita.
Lo Stato, non il terremoto, ha ucciso noi, che non abbiamo potuto nemmeno conoscere il numero dei nostri morti. Il nome dell’assassino che ha ucciso centinaia di migliaia di persone è lo Stato turco, che, prima del terremoto ha costruito le città tenendo conto delle esigenze dei capitalisti, non della gente, e, dopo il terremoto, ha impedito l’organizzazione delle attività di soccorso.
Come abbiamo fatto fin dal primo giorno del terremoto, continueremo a mobilitare tutte le nostre attività organizzative per sostenere concretamente i bisogni e le vite delle persone della regione che sono state colpite dallo Stato, non dal terremoto, e ad acuire la nostra rabbia per chiamare a rispondere uno per uno coloro che ci hanno fatto vivere questo massacro.
Rivista Karala – Ankara